UNA PROVA SEVERA COL TEMPO SMUSSATA
di Domenico
Starnone
(
Cominciamo
da lontano. Ho fatto l'esame di maturità all'inizio degli anni Sessanta. Posso
legittimamente definirlo "di maturità" perché ho frequentato il
liceo classico. Se fossi stato - mettiamo - studente di un istituto magistrale
o di un tecnico, avrei dovuto dire esame di abilitazione. Era ancora il tempo
in cui di maturità si poteva parlare solo per i giovani del classico e, in
subordine, per quelli dello scientifico. Tutti gli altri - la gran parte degli
studenti italiani, -
non
maturavano; dovevano
solo dimostrarsi abili e abilitarsi. Così prescriveva la scuola riformata da
Gentile, nel 1925.
All'epoca
ho sgobbato molto. Ho fatto esami scritti che prevedevano che sapessi
comporre in bell'italiano e tradurre in latino, dal latino e dal greco. Mi è
andata comunque meglio che alle generazioni precedenti. Prima, se si sgarrava
pesantemente nelle prove scritte, si era esclusi dall'orale. Ora, dal 1958, non
più. Facevi gli scritti, sbagliavi tutto, ma andavi comunque agli orali, su tutte
le materie. Poi crollavi lì.
Feci sufficientemente bene sia gli scritti che gli orali.
Poiché sono stato uno studente diligente, mi ricordo il tempo che precedette
gli esami come un curvo studiare per dieci ore al giorno. Cosa studiassi, non
lo so. La memoria dell'angoscia ha cancellato presto quella dello studio.
Scivolai davanti ai membri della commissione come un automa. Chi erano?
Gentile aveva previsto tra i commissari, nei licei classici, ben due professori
universitari. Ma gli accademici avevano altro da fare. Ai miei tempi c'erano
ormai solo professori di ruolo o abilitati, e al massimo un preside che
presiedeva. Mi è rimasta in mente una radiosa commissaria di italiano che si
entusiasmò per il mio compito, pura aria fritta sul tema: la funzione del
dolore in Manzoni e Leopardi; e un senso di fatica snervante e vana.
Poi
l'ho rifatto spesso, da insegnante, l'esame. Nel 1969 lo ritoccarono
pesantemente, per far piacere alle scuole private che dà sempre chiedevano un
esame più facile, così da aumentare il loro volume di affari, e per acquietare
il '68 egalitario, al quale in quell'occasione fu concesso che finalmente anche
l'esame delle, magistrali e dei tecnici si chiamasse di maturità. Una volta professore,
l'avvicinarsi della prova di stato mi ha dato angoscia allo stesso modo che da
studente. Temevo per i miei alunni. Anche se ormai gli esami scritti erano,
col rattoppo del'69, solo due e le materie per il colloquio solo quattro,
indicate per tempo dal ministero. Anche se le materie oggetto di esame orale
presto diventavano di fatto da quattro due (la prima scelta dalla commissione e
la seconda scelta dallo studente). Anche se la materia scelta dalla commissione
era spessissimo "suggerita" alla commissione stessa dal membro
interno, amico degli studenti e informatissimo sulle loro necessità. Mi preoccupavo
ugualmente, perché li vedevo comunque divorati dall'ansia. La commissione
esaminatrice, sebbene senza accademici, ispettori e ormai nemmeno presidi,
sebbene senza funzioni vere di controllo, era pur sempre una commissione
esterna, burbera, imprevedibile, attenta ai sigilli con la ceralacca o il
nastro adesivo.
Insomma
sono andato in pensione persuaso che bisognava trovare il modo per abolire
l'esame di maturità. Infatti di recente l'hanno abolito, ma fingendo di
restaurarlo. Le prove scritte ora sono tre, due ministeriali e una concepita dalla
commissione esaminatrice. Comportano un punteggio che getta una sua ombra
cupa. L'orale è un colloquio su tutte le materie dell'ultimo anno, a partire
da una tesina pluvidisciplinare che il candidato presenta a inizio esame. Non
robetta, dunque, stando alla lettera. Non scuola facile e oziosa. Ma c'è un
ma. Non c'è più commissione esterna. La commissione esaminatrice è composta
dagli stessi insegnanti che hanno istruito i loro allievi per un triennio. Sì,
c'è un presidente che viene da fuori, ma serve a onorare la forma. La sostanza
è che gli esaminatori sono gli stessi insegnanti che, con giudizio meditato o
pregiudizio, hanno già valutato gli studenti nel corso di un triennio. Si fanno
diligentemente conti
ragioniereschi per sommare
scritti, orali, crediti (la lezione di religione cattolica è un credito o
no?). Si stila una gerarchia senza sorprese di bravissimi, bravi, così così.
Raramente si boccia, perché la gran parte di quelli che arrancano è già morta
all'istruzione lungo il percorso dalle elementari in poi.Il risultato è un esame
che non ha più funzione. E' difficile che sovverta le gerarchie di merito
fissate nel corso dell'anno scolastico. E non essendoci esaminatori esterni,
sicuramente ha perso il suo scopo originario, vigilare sulla parità tra scuola pubblica
e scuola privata, come da Costituzione, valutare paritariamente, come a partire
dalla riforma Gentile, i risultati conseguiti dagli allievi delle scuole
statali
e non statali. Cosa può assicurare,
infatti, una commissione interna, cosa può valutare, se non quello che ha già
assicurato e valutato nel corso dell'anno? Si dirà: l'esame serve comunque a
sancire la maturità degli allievi. In che senso? La maturità scolastica
significava poco già ai tempi di Gentile. La parola perse sostanza da subito,
già quando fu usata per l'esame del classico e dello scientifico. Cosa sarebbe
accaduto, infatti, se una commissione folle avesse voluto davvero accertare,
candidato dietro candidato, le modalità secondo cui ogni singola materia era
stata maturamente assimilata? Quanto feroce sarebbe stata la selezione? E
quanto feroce sarebbe oggi? Infatti
anche il nuovo esame di maturità sta mettendo a punto un suo trantran con
deprimente ragionevolezza. I ragazzi studiacchiano quello che possono, tanto
sanno che i giochi sono già fatti. E gli insegnanti si attengono ai temi della
tesina multidisciplinare, stando attenti a non scantonare per non metterli e
non mettersi in difficoltà.
A
conti fatti, forse l’esame di maturità è diventato solo l’evento conclusivo
degli studi medi che, comunque si metta, sarà ricordato volentieri, servirà a
dire ai fratellini e poi ai figli e poi ai nipoti: quando andavo a scuola io,
sì che si studiava. O forse no, è un inizio: il primo esame di quell’esamificio
parcellizzato e caotico che è l’università.