John Stuart Mill

 

La morale come pratica politica

 

Gli uomini tendono naturalmente alla felicità e desiderano contrastare il dolore: porsi quindi il problema etico di realizzare una felicità maggiore per il maggior numero è realizzare una inclinazione naturale. Il problema sociale e politico è la costruzione di un mondo così fatto nelle condizioni reali in cui nasce il problema stesso.

Fuori dall'uomo e dal modo in cui si svolge la sua vita non c'è per la moralità che il cielo sterile dell'astrazione concettuale. Come capita nel caso della massima che propone all'uomo di seguire la natura: massima quant'altre mai infausta perché abolisce di colpo tutti i sistemi di scopi che nascono dalla società e che costituiscono gli obiettivi reali e possibili per un miglioramento della vita. Persino l'idea di Dio è ritagliata da Mill in questa prospettiva: Dio è solo concepibile come un volere universale che cerca di piegare la natura al meglio.  […]

La vita morale non è quindi realizzazione di alcuna massima generale comunque costruita. La vita morale in quanto assume come scopo il benessere generalizzato è sempre sulla linea di confine verso l'azione politica.

 La pratica concreta di questa idea vede Mill impegnato sul tema della libertà. Mill ha chiaro il processo evolutivo che vede dal me­dioevo al mondo a lui contemporaneo allargarsi sempre più l'area della libertà, intesa come libertà dell'individuo a predisporre le sue finalità. Al sovrano assoluto succede il riconoscimento dei diritti politici e si giunge infine alla elezione di coloro che reggono la cosa pubblica. Il radicalismo liberale di Mill è del resto sensibilissimo ad individuare il luogo dove nella società inglese a lui contemporanea si ripropone l'obbiettivo di una battaglia per la libertà.

L'Inghilterra vittoriana ha fatto notevoli progressi nelle istituzioni politiche, ma il costume è ancora estremamente statico ed oppressivo. Ciò, di per se stesso, è un motivo di illibertà, dato che a livello di un'opinione pubblica conformista, il singolo difforme dalla tradizione più forte non ha sufficienti garanzie di difesa e di sostegno. Ma anche a livello delle istituzioni politiche vi è il rischio che il potere popolare, filtrato attraverso il sistema della maggioranza, costituisca una tirannide nascosta e legittimata. Il meccanismo elettorale maggioritario (quello che è ancora oggi in funzione in Inghilterra) in primo luogo esclude definitivamente ogni minoranza che non ha più occasione di far sentire la propria voce e, in secondo luogo, favorisce naturalmente le posizioni più conformistiche, quelle cioè su cui è più facile il consenso di una maggioranza.

La rappresentanza proporzionale, assieme alla generalizzazione del diritto di voto, sembra a Mill la riforma idonea a impedire che l'esercizio delle libertà individuali venga compromesso. Il regime democratico elettivo è quello che è in grado di suscitare passioni ed energie. Esso è il quadro politico che di per se stesso sollecita la nascita di un tipo d'uomo sociale che riflette sui problemi della comunità, ne propone la critica e, infine, prospetta riforme e miglioramenti. Ma se non partecipano tutti alle elezioni, e se, soprattutto, una parte dell'opinione sociale e politica non ha modo di essere rappresentata e quindi di avere una propria efficacia, allora si forma un ceto di cittadini in posizione subalterna e rassegnata. E ciò è un male non solo per il misconoscimento della loro eguaglianza giuridica, ma anche perché quegli elementi di conflitto sociale, di cui quegli elettori sarebbero i naturali portatori, resterebbero allo stato latente. La società giunge invece al suo migliore equilibrio quando tutti gli interessi trovano una composizione e un equilibrio politici. Certamente Mill è in radicale opposizione alla «ingegneria sociale» prospettata da Comte che in concreto si è appoggiata politicamente a forme di «cesarismo» politico. Non dimentichiamo che Comte è stato favorevole al colpo di stato di Luigi Napoleone. Mill, tutto all'opposto, fa leva sia a livello economico che a livello culturale, sulla libertà e sulla iniziativa dell'individuo, anche se naturalmente, sulla tradizionale scia dell’utilitarismo, crede fermamente alla funzione politica come guida della società.

[…] La morale di Mill è risolta in valori laici, sociali e mondani; anche l’idea religiosa dell’immortalità dell’anima si può abbandonare quando al vita sia ben vissuta e in modo che non restino desideri di esperienze da cui si è stati esclusi.

 

[Vegetti, Alessio, Fabietti Papi, Filosofie e società, Bologna, Zanichelli, 1982, pp, 280-282]