Il Grillo (31/1/2001)

Mario Trevi

L'ombra dentro di noi

Documenti correlati

31 gennaio 2001

Puntata realizzata con gli studenti del liceo classico "Aristofane" di Roma

· L'ombra e l'inconscio

· La proiezione dell'ombra

· L'individuazione del sé

· Psicologia e morale

· L'ombra e l'arte

STUDENTESSA:  Benvenuti al Liceo Aristofane di Roma. Oggi parleremo de: "L'ombra dentro dentro di noi", con il dottor Mario Trevi, che ringraziamo di essere qui. Introduciamo l'argomento con una scheda filmata.

"Ognuno di noi è seguito da un'ombra. Meno questa è incorporata nella vita conscia dell'individuo tanto più è nera e densa". Così lo psicologo svizzero Carl Gustav Jung, allievo eretico di Freud, descrive il lato oscuro della vita cosciente dell'uomo. Questo mondo che sta sotto e dietro la maschera della persona e dell'agire sociale Jung lo ha chiamato, con un'espressione che ricorda Dostoevskij, "sotterranei dell'anima". È il luogo demonico o infero del mito e della rappresentazione religiosa. Vi abitano i mostri e i morti. È la notte della coscienza, ma anche fertile limo terrestre, sottosuolo da cui si risorge. Dunque l'ombra non cela solo il male. È piuttosto qualcosa di primitivo, infantile e goffo, che renderebbe l'esistenza umana più vivace e bella, se non urtasse contro le regole della società e la consapevolezza dell'io. In quanto tale l'ombra va guardata in faccia, va conosciuta anche nei suoi tratti penosi e conturbanti. Dobbiamo accoglierla come la nostra parte notturna e darle voce. Solo così non agirà inconsapevolmente e pericolosamente, come appare nel popolare racconto di Stevenson: Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, in cui il protagonista, rispettabile uomo di scienza, vive la propria dimensione d'ombra come fosse un'altra persona sfuggita al governo dell'io. Talvolta l'ombra viene proiettata sugli altri, per evitare l'incontro penoso e duro con noi stessi, con il proprio doppio. In realtà, solo integrando la nostra parte umbratile, l'energia sotterranea che essa nasconde e assorbe diviene disponibile all'io. "Talvolta si deve essere indegni, per riuscire a vivere pienamente", afferma Jung. Dunque, secondo Jung, ma anche per Sigmund Freud, la nostra psiche nasconde un mondo complicato e vasto, con cui difficilmente entriamo in contatto. Forse ne abbiamo paura perché scopriamo che l'io non è padrone a casa propria.Questa esplorazione dell'inconscio apre prospettive assolutamente nuove e naturalmente pone interrogativi. Se il male è l'altra faccia del bene, come l'ombra è l'altra faccia della luce, che senso ha giudicare le azioni degli uomini in termini di responsabilità? Se la parte negativa dell'uomo sfugge al controllo dell'io, la psicologia distrugge la morale?

STUDENTESSA: Nella scheda filmata si parla dell'ombra, intesa come un qualcosa di nascosto nella persona. Spesso quest'ombra ci rende timorosi e ci imbarazza. Secondo Lei, l'ombra, ovvero questa parte oscura, può coincidere con l'inconscio o è una parte di cui noi conosciamo l'esistenza?

TREVI: Naturalmente noi ci rifacciamo all'autore che ha coniato questa espressione, che vorrei qui ricordare. Non è tanto un concetto, è una metafora. In psicologia si usano più metafore che concetti. Perciò bisogna riferirsi al pensiero di Jung e, per lui,  non c'è coincidenza fra ombra e inconscio. L'ombra, se mai, è una parte dell'inconscio. D'altra parte l'ombra può essere conscia e/o inconscia: c'è una parte conscia e c'è una parte inconscia. Tutti siamo consapevoli di avere dei difetti, eccetera. E quella è la parte conscia. Poi c'è la parte inconscia, quella che ci gioca i tiri birboni. Jung, che è molto chiaro in questo punto, dice: "Quando l'ombra è inconscia corrisponde all'Es di Freud". D'altra parte, anche in Freud, l'Es non coincide con l'inconscio. In Freud può essere inconscio persino una parte dell'io e gran parte del super ego. Voi avete delle nozioni, mi hanno detto, abbastanza approfondite su Freud, , perciò se parlo di queste cose mi capite. In ogni caso, rispondendo puntualmente alla domanda: no, non si può identificare l'ombra con l'inconscio. Possiamo dire che la parte dell'ombra che più ci disturba è quella inconscia. E che nostro compito fondamentale è di renderla conscia il più possibile.

STUDENTESSA: Che ruolo ha l'ombra nella vita di un individuo?

TREVI: Possiamo dire che l'ombra è ciò che maggiormente procura una terza dimensione all'uomo; che l'uomo, senza l'ombra, sarebbe piatto, un uomo a due dimensioni. Ecco perché è importante. Non si può parlare di un ruolo, si può parlare, se mai, dell'importanza che l'ombra ha nella struttura della psiche umana. Un uomo, senza aspetti negativi, consci o inconsci che siano, sarebbe un angelo che non ha più nulla di umano. L'ombra dà spessore all'uomo - naturalmente non l'ombra inconscia, ancora disarticolata dalla pienezza della struttura psichica, ma un'ombra integrata. Vedremo, forse grazie alle Vostre domande, che cosa si intende per integrazione dell'ombra.

STUDENTESSA: Dell'ombra parlano i miti e le religioni: a proposito degli inferni, dei demoni e del sottosuolo da cui si rinasce. Dunque non è solo un concetto di psicologia, ma è anche riferito ad altre cose. Lei cosa ne pensa?

TREVI: Il termine "ombra" nasce nella ricerca psicologica e in particolare nella ricerca psicologica di Jung. Ci sono dei precedenti, ma sempre di ordine psicologico. C'è tuttavia un corrispettivo dell'ombra nei miti di tutto il mondo. Indubbiamente ci si può divertire a trovare in moltissimi miti quest'aspetto negativo dell'uomo. Però è solo apparentemente negativo, perché se ben relazionato all'io cosciente - che se ne deve assumere la responsabilità - in qualche modo diventa positivo, o meglio diventa un propulsore della vita psichica. In genere l'esempio più pregnante dell'ombra dei miti è quello che si trova nei miti degli indiani d'America, il trickster, il briccone buffone, che poi, talvolta, si dimostra essere un aiutante magico, che risolve situazioni che sembravano irrisolvibili nella vita. Però non si deve pensare che l'ombra sia rappresentata solo dal trickster. Qualcuno ha voluto vedere, un corrispondente del trickster nel Mercurio della mitologia classica. Abram Kardiner - è stato un grande storico, fenomenologo delle religioni -  si è sforzato di approfondire questa somiglianza. Ci sono probabilmente molti altri esempi di ombra nei miti. Perciò, ripeto, il termine nasce nella psicologia, ma noi possiamo trovare delle vaste corrispondenze nella mitologia.

STUDENTESSA: Abbiamo letto nel Dizionario di psicologia in che modo agisce l'ombra nelle persone. Il primo fenomeno è quello della proiezione dell'ombra. Ma di che cosa si tratta?

TREVI: Non vorrei passare per uno studioso dell'ombra, ho scritto solo qualche cosa. D'altra parte posso anche aggiungere che Jung non ha mai trattato dettagliatamente questo argomento. Perciò è logico che chi si rifà a lui cerchi di chiarire tutte le implicazioni di questa metafora-concetto. Dunque, la proiezione: sì, effettivamente noi proiettiamo gli aspetti oscuri della nostra personalità, gli aspetti inconsci, sull'altro. Tutto ciò che è inconscio viene proiettato, o meglio: si rischia di proiettare sull'altro tutto ciò che è inconscio. Allora noi non vediamo più ciò che è nostro, ma vediamo solo quello che abbiamo proiettato. È la famosa pagliuzza negli occhi del nostro prossimo, di cui parla il Vangelo. Noi vediamo la pagliuzza, ma non vediamo la trave. E la proiezione è molto importante per il lavoro che si vuol fare sull'ombra, perché ritirando questa proiezione, cioè sforzandosi di capire che quello che abbiamo proiettato è cosa nostra, noi cominciamo a stabilire un rapporto positivo con l'ombra.

STUDENTESSA: Proprio riguardo a questo tema della proiezione, ognuno di noi spesso proietta sull'altro la propria ombra. Però è anche importante considerare come spesso siano anche gli altri a proiettare su di noi la loro ombra. Mi chiedo che cosa accade in una collettività, dove si ipotizza una sorta di interazione tra ombre, quando noi proiettiamo e contemporaneamente riceviamo le proiezioni dagli altri; una collettività, ad esempio, come la famiglia, oppure la scuola.

TREVI: Questo gioco di proiezione e ombra esiste. Non è qualche cosa di così dannoso e di così pericoloso come si potrebbe supporre in un primo momento. Ma effettivamente si può riconoscere in ogni comunità, dalla famiglia al gruppo sociale fino alla nazione e, via via, in tutte le istanze che vengono studiate dai sociologi. L'unico mezzo è, appunto, capire che, se noi abbiamo per esempio delle antipatie ingiustificate per una persona o anche per un gruppo, probabilmente abbiamo fatto una proiezione, e allora dobbiamo metterci di fronte a questa ombra proiettata e con molta umiltà dire: "Ma questa è roba mia", e ritirarla. Se questa operazione viene fatta, effettivamente si libera il gruppo da una serie di equivoci e direi, ripetendomi, di ombre. Ma questa ipotesi è troppo ottimistica. Qualche cosa di oscuro proiettato sull'altro rimarrà sempre.

STUDENTESSA: Si può perciò usare il concetto di ombra per spiegare fenomeni di rabbia collettiva, come, per esempio, il razzismo o la xenofobia?

TREVI: Naturalmente - questa è una domanda molto difficile - è probabile che nella xenofobia vadano a finire anche proiezioni di ombra, però la xenofobia è un fenomeno così profondo, così radicato nell'umanità e così dannoso che non si può risolvere tutto nel modellino jungiano dell'ombra. Possiamo dire che una parte della xenofobia può essere spiegata con la tematica Jungiana dell'ombra, ma certamente va al di là di essa.

STUDENTESSA: Come si viene a contatto con la nostra ombra? Soltanto con la psicoterapia?

TREVI: Fortunatamente no! Jung ha elaborato questo concetto pensando all'uomo comune, all'uomo della strada, a tutti noi. Indubbiamente uno dei primi lavori che si fa in una psicoterapia è quello della ricognizione dell'ombra e poi del contatto con essa, della integrazione, eccetera. Ma questo non vuol dire che questo lavoro non possa essere fatto anche da soli. Comprendendo che, per esempio, ogni nostra antipatia irrazionale, ingiustificata, è dovuta ad una proiezione d'ombra, si può cominciare da lì. Un esame attento delle nostre parti negative, anche consce, è una buona introduzione alla ricognizione dell'ombra inconscia. Nell'amicizia è possibile un aiuto reciproco per il riconoscimento dell'ombra. In ogni caso la fonte fondamentale per il riconoscimento dell'ombra è sempre la proiezione.

STUDENTESSA: Un altro modo con cui agisce l'ombra è la scissione. Da quanto possiamo vedere nel famoso libro di Stevenson, il personaggio principale, il dottor Jekyll, subisce appunto una scissione: la sua parte negativa diventa addirittura un'altra persona, il signor Hyde, che sfugge al controllo razionale. Vorrei sapere se questo fenomeno è solo un fenomeno che si può ricondurre alla letteratura o, comunque, può avvenire anche nella realtà.

TREVI: La letteratura l'ha illustrato egregiamente molte volte. Il racconto di Stevenson è addirittura un apice di questa tematica, ma si possono trovare molti altri esempi. La parola scissione è una parola del gergo psicopatologico, perciò dobbiamo sempre aggiungere scissione dall'ombra, per non confonderla con la scissione come fenomeno di scissione dell'io, di cui hanno sempre parlato gli psicopatologi. Ora la scissione dall'ombra può avvenire. Noi ignoriamo completamente la nostra ombra. Questo avviene in persone, che, per esempio, si ritengono perfette. Oltre a essere piuttosto piatte, sono anche inconsapevolmente pericolose, perché da un momento all'altro possono essere vittime proprio della loro ombra. Il contrario della scissione è, appunto, l'integrazione dell'ombra.

STUDENTESSA: Nella scheda si diceva che l'ombra non è il male, perché contiene energia indispensabile. Questo cosa vuol dire?

TREVI: Noi dobbiamo dividere il concetto o la metafora dell'ombra dal concetto di male. L'ombra è male solo in quanto rimane scissa da noi, inconscia, negata, assolutamente separata dal resto della personalità. Sono contento che sia stato introdotto il concetto di male, perché appunto, in una interpretazione un po' superficiale dell'ombra, si potrebbe pensare che il male nasca solo dalla proiezione della nostra ombra. Ahimè, no! Il male morale esiste, eccome! E dobbiamo combatterlo in tutte le maniere. Sarebbe assurdo per esempio pensare che personaggi come Hitler, Stalin, i grandi dittatori del nostro secolo, Salazar, eccetera, siano esclusivamente il frutto della nostra proiezione. No, sono delle persone assolutamente possedute dal male, hanno a che fare ben poco con la nostra proiezione d'ombra. Però il concetto di male viene evocato, nell'analisi dell'ombra, perché noi sentiamo l'ombra come qualche cosa di negativo. Qui è anche una questione di linguaggio. Direi che, parlando dell'ombra, è sempre meglio parlare del negativo che è in noi, piuttosto che del male. Il male è un concetto troppo antico, troppo aulico, anche troppo potente , per essere evocato in un argomento di psicologia di tutti i giorni.

STUDENTESSA: Jung dice anche che il contatto con l'ombra è necessario per individuarsi, perché veniamo a contatto con una parte molto profonda di noi stessi. Ma cosa vuol dire individuarsi?

TREVI: Qui ci avviciniamo al cuore del problema. Calare l'ombra al di fuori del tema dell'individuazione è utile, ma finisce per essere sterile. L'individuazione è un concetto difficile. Cercherò di riassumerlo con poche parole. Individuarsi innanzi tutto significa comprendere il valore unico e insostituibile della propria personalità e sottrarsi al dominio degli stereotipi collettivi. Gran parte di noi non riflette sufficientemente sul fatto che il suo pensiero - ma persino la sua immaginazione, persino i suoi sentimenti - sono in qualche modo guidati dagli stereotipi collettivi che dominano nella società. Oggi tanto più, in quanto abbiamo dei mezzi di comunicazione di massa così potenti, come per esempio la televisione, per cui è molto facile che l'uomo della strada abdichi alla propria individualità per assumere atteggiamenti non suoi di carattere collettivo. Questo è un primo aspetto dell'individuazione, cioè il differenziarsi, il comprendere che si è portatori di un valore e di un significato unico che va sottratto dal dominio degli stereotipi collettivi. L'altro aspetto dell'individuazione è l'integrazione,cioè il cercare di mettere assieme tutte le parti della nostra vita psichica. Voi avete studiato filosofia e  anche un po' Freud, e avete capito che ogni volta che un filosofo o uno psicologo cercano di spiegare che cos'è la psiche o l'anima ricorre alla finzione delle parti. Pensate a Platone che rappresenta l'anima come una biga alata trainata da due cavalli e guidata dall'auriga, che rappresenta la ragione, nei confronti di altre due parti, una parte assoggettata ai sensi e una parte irascibile. È una prima grande rappresentazione delle parti che devono integrarsi. Lo stesso fa Freud, divide prima la psiche umana in un Ego (l'io), un Es, detentore delle pulsioni, ed un super- Ego, il nostro giudice interno. L'io è costretto a combattere su due fronti. Anzi: poi c'è un altro fronte ancora, che è quello della realtà. Questo naturalmente finché l'uomo non arriva alla maturazione, che per Freud corrisponde alla "genitalità", cioè allo sviluppo completo della sua organizzazione sessuale, erotica, eccetera; alla maturità che lo porta, per esempio, a costituirsi una famiglia, e così via. A questo punto le parti si sono integrate perfettamente. L'Es non tira più tiri birboni all'io, l'io non deve più difendersi da lui, ma non deve neppure difendersi dal super ego, con cui si è conciliato, eccetera. In Jung le cose sono ancora molto più complesse. Egli ipotizza un numero indeterminato di partes animae, di parti della psiche. L'integrazione è l'altro aspetto dell'individuazione: fare in modo che tutte queste parti arrivino a una concordia interna.

STUDENTESSA: Se per la psicologia la parte negativa è comunque una pulsione che fa parte di noi, che alberga dentro di noi, allora si potrebbe anche ipotizzare che noi non ci conosciamo veramente fino in fondo. Allora non è possibile che la psicologia, attraverso un processo di "deresponsabilizzazione" dell'individuo, possa annullare, o quanto meno, interferire con i principi della morale? 

TREVI: Sì, questo avviene, forse per psicologi del tutto irresponsabili. La psicologia deve essere prima di tutto molto umile, e capire che ci sono dei limiti. Essa non può sconfinare, per esempio, nella problematica morale, che esisterà sempre. Può aiutare l'uomo, ma non può assolverlo in tutto e per tutto. La psicologia poi deve comprendere di non essere una scienza della natura. Questo è molto importante, proprio per noi che oggi parliamo di un argomento come l'ombra. Freud, un genio unico nella storia della nostra civiltà, ha tuttavia avuto la pretesa di concepire la psicologia come una scienza della natura,  cioè una scienza che studia l'oggettività, come potrebbe fare un qualsiasi scienziato, uno zoologo, un biologo, eccetera. In qualche modo era la sua grande missione, la sua grande illusione. Jung comprese ben presto che la psicologia non può essere trattata come una scienza della natura - soprattutto quella parte della psicologia che si occupa della personalità, perché poi ci sono parti della psicologia come lo studio della sensazione, della percezione, della memoria, eccetera, che possono essere studiate con i metodi delle scienze della natura. Ma quando si arriva alla personalità umana nel suo complesso,  la psicologia non è più una scienza della natura, ma una scienza della cultura. In quanto tale non deve presumere di formulare teorie eterne, che vanno al di là della storia, ma appunto di essere anche lei una scienza storica, una scienza che muta di tempo in tempo, come tutte le altre scienze della cultura.

STUDENTESSA: L'ombra non potrebbe, in un certo senso, assolvere l'individuo da alcune responsabilità?  Accertata la presenza dell'ombra e constatato che noi non sempre entriamo in contatto con questa e non sempre la conosciamo, è possibile che si attribuisca la colpa di una responsabilità all'ombra, piuttosto che alla parte conscia di ogni individuo?

TREVI: Sì, questo sarebbe possibile se l'individuo in qualche modo fosse isolato. L'etica o, con un significato un po' diverso, la morale, nasce nel momento in cui l'uomo comprende che vive con altri uomini, che la sua verità sta nella interazione con gli altri uomini. E qui nasce il problema del rispetto degli altri. L'integrazione dell'ombra può essere utilissima all'individuo in quanto isolato, eccetera, ma egli poi non può trascurare la presenza dell'altro. È nella interazione con l'altro che nasce il problema della morale e nasce il problema del rispetto dell'altro. L'integrazione dell'ombra non può minimamente deresponsabilizzare l'uomo.

STUDENTESSA: Noi vediamo che l'ombra è presente e espressa anche nell'arte e nella letteratura. Ad esempio, ne: L'idiota di Dostoevskij, i personaggi del principe Myškin e di Rogožin si possono dire complementari. Rogožin non è altro che l'ombra del principe Miškin . Si potrebbe dire che attraverso un processo di scrittura e quindi di espressione di quest'ombra si arrivi anche a una forma di guarigione?

TREVI: Sì, certo. Il grande romanziere, il letterato, tende, probabilmente inconsapevolmente, a separare le istanze psichiche e appunto a creare un principe Miškin da una parte e altri personaggi piuttosto negativi dall'altra. Ma il problema è appunto quello di una integrazione. Questo non può avvenire nel romanzo, che è una narrazione in genere, che tende a mantenere i ruoli. Lo si può intendere in qualche maniera alla fine, leggendo che questi estremi dovranno in qualche modo conciliarsi. Ci sono autori, d'altra parte, che affrontano invece proprio il problema dell'integrazione d'ombra. Per esempio, in questo momento mi viene in mente, dal momento che è stato evocato Dostoevskij, Tolstoj. C'è un racconto poco noto di Tolstoj, Padre Sergio, che è una stupenda esemplificazione della integrazione dell'ombra. Padre Sergio è appunto un personaggio perfetto. Tutti si recano da lui perché è praticamente un santo . Non ha ombre e così via. Ma già dalle prime pagine del racconto noi sentiamo che non è un vero uomo. Comunque il racconto va avanti e c'è una donna, una donna bellissima, mi pare di ricordare che sia anche un'aristocratica, che si mette in testa di sedurre Padre Sergio. E tanto fa che ci riesce. Padre Sergio cede! E crede che con questo cedimento abbia perso tutta la sua santità, e invece non è vero. Con questo cedimento lui diventa veramente un uomo e potenzierà tutte le virtù che prima erano in qualche modo già in lui, ma in una maniera, per così dire, non sufficientemente efficace. La vera vita spirituale di Padre Sergio nasce dopo il peccato.

STUDENTESSA: Nell'ombra l'individuo spesso si scontra con una parte inconscia, infantile, ribelle e anarchica. E spesso noi giovani ci sentiamo proprio così. Secondo Lei, l'ombra, nei giovani, è più attiva?

TREVI: È senz'altro probabile. Il problema dell'individuazione non è un problema della giovinezza e tanto meno della prima giovinezza. Il giovane deve vivere come sente di vivere. Non deve porsi troppi problemi. Jung tende a distinguere - secondo me,  a distinguere troppo - vari periodi,  ma comunque due periodi fondamentali della vita: quello della giovinezza e quello della maturità. È qui che si situa il problema della individuazione. E allora qui c'è il problema della responsabilità della soluzione della propria ombra, del comprendere che si è anche quella parte negativa, che prima si è vissuta irresponsabilmente, ma adesso deve essere vissuta responsabilmente, e integrata con tutto il resto. Per i giovani questo problema si pone, ma soprattutto nella parte che prima Vi ho detto, nell'aspetto della differenziazione. Il giovane può sentire molto potente questo aspetto del processo di individuazione. Può sentire che deve sottrarre la propria individualità agli stereotipi collettivi che lo dominano, che circolano nella società e vengono veicolati da potentissimi mezzi di comunicazione.

Puntata registrata il 19 dicembre 2000