Dal
liceo all’università, come se fosse un rituale antropologico
di Umberto Galimberti
(
SIGNIFICATO
Maturità non vuol dire
saggezza ed
equilibrio, ma capacità di superare
prove, trovare un'identità e a volte
reggere alle sconfitte
Maturità.
Una parola che fino a qualche anno fa nominava gli esami che concludono il
ciclo della scuola secondaria superiore che ora è stata abolita e, con essa
quella sorta di rito di iniziazione che la caratterizzava.
Ci siamo così definitivamente congedati dall'ultima traccia di
quella pratica antichissima, l'iniziazione, che l'umanità, fin dai suoi
albori, ha sempre conosciuto e ritualizzato in pratiche, spesso dolorose e
cruente, volte ad appurare l'idoneità di un adolescente ad essere introdotto
nella comunità degli adulti.
Accanto alla maturità, c'era, per i maschi, quell'altro rito
iniziatico che era il sevizio militare. Ma l'abolizione della leva obbligatoria
ha soppresso anche questo rito, che segnava il congedo dalla protezione delle
cure genitoriali e l'ingresso in quella dimensione non protetta che è la vita
adulta, chiamata a determinarsi da sé.
Risultato? Il prolungarsi dell'adolescenza a tempo
indeterminato, con il grave disagio di chi si trova a fare l'adolescente
senza più esserlo, con forti spunti di autonomia e indipendenza psicologica
che, non avendo dove esprimersi, si traducono in quelle forme di ribellismo e
di insofferente rivendicazione di indipendenza che i genitori sono soliti
subire tacendo per evitare il peggio. Ne valeva la pena?
Un
tempo gli esami di maturità avvenivano di fronte a una commissione esterna:
professori sconosciuti che esaminavano studenti sconosciuti. Prima grande
prova di oggettività, dove, senza protezione, uno studente verificava, oltre
al suo sapere e alla capacità di comunicarlo, anche la sua solidità
psicologica, la capacità di controllare il suo stato emotivo di fronte ad
estranei, in una parola: il governo di sé. Che tutto questo fosse presente in
quella prova, se non vogliamo ammetterlo razionalmente, ce lo ricorda il
nostro inconscio con quei sogni ricorrenti (dove non si supera l'esame di
maturità) che fanno la loro comparsa
ogni volta che nel corso della vita il nostro stato emotivo è fuori controllo e
l'ansia circa la nostra identità e il nostro bisogno di riconoscimento si fanno
incerti e precari.
Dal momento che la vita adulta non ci risparmia queste prove
d'oggettività, come sanno tutti i giovani che per la prima volta si presentano
a un colloquio di lavoro, perché la scuola li esonera da questa prova, quando
la vita poi, implacabilmente, li sottoporrà? Perché non incominciare dalla
quinta elementare e poi alla terza media, e infine con l'esame di maturità a
creare le condizioni che consentono di verificare le proprie capacità in un
rito, gli esami, non protetto dalla conoscenza, dalla comprensione, dall'indulgenza,
che sono virtù se applicate a chi è socialmente o psicologicamente
svantaggiato, ma diventano danni gravissimi per chi, senza svantaggi
socio-psicologici, non è mai messo alla prova, perché i debiti scolastici non
sono mai pagati, e i crediti si accumulano con quelle attività
extra-scolastiche che oggi entrano nel computo della valutazione, o con quelle
tesine scaricate da
Internet
che
sono puri attestati di incompetenza e ignoranza?
E poi quasi tutti promossi (anche se durante l'anno si è
studiato con una media di un'ora al giorno) per evitare ricorsi, fastidi,
demotivazioni, abbandoni, sostenuti, in questo
trend
di progressivo lassismo, da quella ignorantissima
"psicologia comprensiva" che, dello sviluppo psichico
dell'adolescenza, non conosce neppure l'abbiccì. Sì, perché è noto a tutti
che i giovani hanno un bisogno enorme di verificare il proprio valore, le
proprie capacità, la propria forza, il proprio coraggio, e se la scuola non
gliene dà l'occasione, cercheranno altrove, negli stadi, nelle corse
spericolate in macchina, nei percorsi della droga, in
prove
estreme al limite del suicidio, di praticare
quei riti iniziatici di morte e rinascita, a cui la scuola si è colpevolmente
sottratta. E come l'adolescente, per uscire dall'infanzia ed entrare
nell'esuberanza sessuale, ha bisogno di quei riti iniziatici che si esprimono,
anche se in modo maldestro, nei processi di socializzazione, dove la parola
dell'amico conta mille volte di più di quella dei genitori, così il giovane,
per diventare adulto, deve passare per quel rito iniziatico, dove muore
l'adolescente protetto che è in lui, e nasce il giovane che guadagna la sua
autonomia solo se sa sostenere prove senza protezione, dove in gioco è la sua
capacità di superarle o di reggerne la sconfitta. Perché anche reggere la
sconfitta è una prova di maturità.
Gli esami attuali, dove gli studenti sono giudicati dai loro stessi insegnanti, sono la negazione di
questo banco di prova. E quando a un giovane io ho tolto la possibilità di
verificare il suo valore e quindi la sua identità, gli ho tolto un passaggio
psicologico di fondamentale importanza, che nessuna gratuita promozione è in
grado di compensare perché a quella promozione è lo studente stesso a non dare
alcun valore. E così, non allenato a scuola da prove oggettive, senza
preparazione a superare prove, lo si consegna, sguarnito perché non allenato,
alle prove della vita, la cui selezione tutti conosciamo essere più crudele
di quella scolastica.
"Maturità" non vuol dire saggezza, ponderazione,
equilibrio o addirittura invecchiamento precoce, maturità vuol dire capacità
di superare le prove per reperire la propria identità, così come capacità di
reggere le sconfitte senza depressione e abbandono. Siccome la vita adulta
questo ci chiede, perché non incominciare ad allenarsi nella vita scolastica,
dove tutto è ancora recuperabile, dal momento che la scuola non ha quei tratti
di inesorabilità che invece sono propri della vita?