Dal liceo all’università, come se fosse un rituale antropologico

LA LINEA D’OMBRA CHE NOI SUPERIAMO
di Umberto Galimberti

(La Repubblica , 21 giugno 2005)

SIGNIFICATO

Maturità non vuol dire saggezza ed
equilibrio, ma capacità di superare
prove, trovare un'identità e a volte
reggere alle sconfitte

Maturità. Una parola che fi­no a qualche anno fa no­minava gli esami che con­cludono il ciclo della scuola se­condaria superiore che ora è stata abolita e, con essa quella sorta di rito di iniziazione che la caratte­rizzava.

Ci siamo così definitivamente congedati dall'ultima traccia di quella pratica antichissima, l'ini­ziazione, che l'umanità, fin dai suoi albori, ha sempre conosciuto e ritualizzato in pratiche, spesso dolorose e cruente, volte ad appu­rare l'idoneità di un adolescente ad essere introdotto nella comu­nità degli adulti.

Accanto alla maturità, c'era, per i maschi, quell'altro rito iniziati­co che era il sevizio militare. Ma l'abolizione della leva obbliga­toria ha soppresso anche que­sto rito, che segnava il congedo dalla protezione delle cu­re genitoriali e l'ingresso in quella dimensione non pro­tetta che è la vita adulta, chia­mata a determinarsi da sé.

Risultato? Il prolungarsi dell'adolescenza a tempo indeterminato, con il grave disa­gio di chi si trova a fare l'adole­scente senza più esserlo, con for­ti spunti di autonomia e indipen­denza psicologica che, non aven­do dove esprimersi, si traducono in quelle forme di ribellismo e di insofferente rivendicazione di in­dipendenza che i genitori sono so­liti subire tacendo per evitare il peggio. Ne valeva la pena?

Un tempo gli esami di maturità avvenivano di fronte a una com­missione esterna: professori sco­nosciuti che esaminavano stu­denti sconosciuti. Prima grande prova di oggettività, dove, senza protezione, uno studente verifi­cava, oltre al suo sapere e alla ca­pacità di comunicarlo, anche la sua solidità psicologica, la capa­cità di controllare il suo stato emo­tivo di fronte ad estranei, in una parola: il governo di sé. Che tutto questo fosse presente in quella prova, se non vogliamo ammet­terlo razionalmente, ce lo ricorda il nostro inconscio con quei sogni ricorrenti (dove non si supera l'e­same di maturità) che  fanno la loro comparsa ogni volta che nel corso della vita il nostro stato emotivo è fuori controllo e l'ansia circa la nostra identità e il nostro bisogno di riconoscimento si fanno incerti e precari.

Dal momento che la vita adulta non ci risparmia queste prove d'oggettività, come sanno tutti i giovani che per la prima volta si presentano a un colloquio di lavo­ro, perché la scuola li esonera da questa prova, quando la vita poi, implacabilmente, li sottoporrà? Perché non incominciare dalla quinta elementare e poi alla terza media, e infine con l'esame di ma­turità a creare le condizioni che consentono di verificare le pro­prie capacità in un rito, gli esami, non protetto dalla conoscenza, dalla comprensione, dall'indul­genza, che sono virtù se applicate a chi è socialmente o psicologica­mente svantaggiato, ma diventa­no danni gravissimi per chi, senza svantaggi socio-psicologici, non è mai messo alla prova, perché i de­biti scolastici non sono mai paga­ti, e i crediti si accumulano con quelle attività extra-scolastiche che oggi entrano nel computo del­la valutazione, o con quelle tesine scaricate da Internet che sono pu­ri attestati di incompetenza e ignoranza?

E poi quasi tutti promossi (an­che se durante l'anno si è studia­to con una media di un'ora al giorno) per evitare ricorsi, fa­stidi, demotivazioni, abban­doni, sostenuti, in questo trend di progressivo lassismo, da quella ignorantissima "psicologia comprensiva" che, dello sviluppo psichico dell'adolescenza, non cono­sce neppure l'abbiccì. Sì, per­ché è noto a tutti che i giovani hanno un bisogno enorme di verificare il proprio valore, le proprie capacità, la propria for­za, il proprio coraggio, e se la scuo­la non gliene dà l'occasione, cer­cheranno altrove, negli stadi, nel­le corse spericolate in macchina, nei percorsi della droga, in prove estreme al limite del suicidio, di praticare quei riti iniziatici di morte e rinascita, a cui la scuola si è colpevolmente sottratta. E come l'adolescente, per uscire dall'in­fanzia ed entrare nell'esuberanza sessuale, ha bisogno di quei riti iniziatici che si esprimono, anche se in modo maldestro, nei proces­si di socializzazione, dove la paro­la dell'amico conta mille volte di più di quella dei genitori, così il giovane, per diventare adulto, de­ve passare per quel rito iniziatico, dove muore l'adolescente protet­to che è in lui, e nasce il giovane che guadagna la sua autonomia solo se sa sostenere prove senza protezione, dove in gioco è la sua capacità di superarle o di reggerne la sconfitta. Perché anche reggere la sconfitta è una prova di matu­rità.

Gli esami attuali, dove gli stu­denti sono giudicati dai loro   stessi insegnanti, sono la negazione di questo banco di prova. E quando a un giovane io ho tolto la possibi­lità di verificare il suo valore e quindi la sua identità, gli ho tolto un passaggio psicologico di fon­damentale importanza, che nes­suna gratuita promozione è in grado di compensare perché a quella promozione è lo studente stesso a non dare alcun valore. E così, non allenato a scuola da pro­ve oggettive, senza preparazione a superare prove, lo si consegna, sguarnito perché non allenato, al­le prove della vita, la cui selezione tutti conosciamo essere più cru­dele di quella scolastica.

"Maturità" non vuol dire sag­gezza, ponderazione, equilibrio o addirittura invecchiamento pre­coce, maturità vuol dire capacità di superare le prove per reperire la propria identità, così come capa­cità di reggere le sconfitte senza depressione e abbandono. Sicco­me la vita adulta questo ci chiede, perché non incominciare ad alle­narsi nella vita scolastica, dove tutto è ancora recuperabile, dal momento che la scuola non ha quei tratti di inesorabilità che in­vece sono propri della vita?