Giorgio Blandino
Le capacità relazionali. Prospettive psicodinamiche,
Torino, UTET libreria, 1996, pp. 220-222

La distruzione fu d’istruzione: non desistere cerca d’esistere
I draghi logopei

9.4      Sintesi

 

Partendo dalla qualificazione della salute mentale, come stato mentale adul­to, possiamo dire che le capacità relazionali come espressione di una emoti­vità matura si caratterizzano, in sintesi, in questo modo:

1. essere consapevoli che all'interno della mente operano forze che favoriscono la crescita e altre che operano in maniera distruttiva contro la crescita e lo sviluppo;

2. essere capaci di porsi delle finalità, degli obbiettivi;

3. avere una condotta guidata da norme etiche non sono imposte dal­l'esterno, ma sorgenti dall'interno come conseguenza di un accesso alla posizione depressiva;

4. avere capacità di preoccuparsi degli altri, in particolare di tutti gli esseri viventi animati e non

5. saper cooperare senza obbedire passivamente;

6. saper obbedire momentaneamente a una autorità se questa obbedienza è finalizzata all'interesse comune di lavoro;

7. saper interagire in gruppo con una mentalità "gruppo di lavoro", e scappare dai gruppi in cui prevalgono gli assunti di base attacco-fuga e dipendenza;

8. essere capaci di perdonare, senza negare le osservazioni spiacevoli cioè senza dimenticare, ma sapendo valutare il peso reale delle cose;

9. stare attenti all'intrusione del proprio bambino interno bugiardo;

10. avere una identità non conseguente all'appartenenza ad un qualche gruppo (ricordo che, secondo la psicoanalisi, l'identità si può definire come un precipitato di identificazioni);

11. essere capaci di apprendere dall'esperienza;

12. saper sentire;

13. essere in grado di tollerare ed elaborare i cambiamenti esterni come possono essere quelli dalla pace alla guerra, dalla felicità alla tragedia, dalla salute alla malattia, da un luogo di vita ad un altro (si veda al riguardo il saggio di Leon e Rebeca Grinberg Psicoanalisi dell’emigrazione e dell’esilio, 1982),

14. essere capaci di contenere una parte sofferente del proprio sé, cioè tollerare la propria sofferenza mentale.

Al riguardo si potrebbe sviluppare una discussione sul concetto di tolleranza che nella sua essenza è la capacità di tollerare i propri limiti. La salute mentale è anche tolleranza della propria malattia: è sapere di non esseri perfetti e accettare di avere dei limiti e delle parti non perfettamente riuscite, è tollerare l'ambivalenza propria, e altrui, verso gli oggetti d'amore, i propri impulsi negativi che provocano angoscia e dolore, la dipendenza dagli altri. Questo accade quando c'è una mamma che per prima è in grado di tollerare le proiezioni del bambino, svolgendo la funzione di contenitore e lasciandosi usare da lui. Da qui nasce la tolleranza come fatto anche politico. […]

15.  Essere tolleranti. Nella situazione di sviluppo normale, che implica la possibilità di fare l'esame della realtà e quindi di distinguere tra sé e gli altri, tra le proprie fantasie e la realtà, si riesce a passare a una posizioni di tipo depressivo. Nella posizione depressiva, cui non si arriva una volta per tutte perché occorre continuare a fronteggiare le spinte a tornare indietro, diminuiscono le proiezioni e aumenta la capacità di tollerare: la tolleranza, anche come fatto sociale, va vista come frutto di una tolleranza interna verso se stessi e verso le proprie parti cattive o verso le proprie ambivalenze. Voltaire nel suo Dizionario filosofico dice:

 

Che cos’è la tolleranza? E l’appannaggio dell’umanità; noi siamo tutti impastati di debolezze e di errori, perdoniamoci reciprocamente le nostre balordaggini, è la prima legge di natura.