Risponde Umberto Galimberti

Gli sprecati del sabato sera

Il sociologo tedesco Falko Blask, nel riferire alcuni stili di vita della gioventù

tedesca, scrive: "Meglio esagitati ma attivi che sprofondati in un mare di tristezza meditativa, perché se la vita è uno stupido scherzo, dovremmo almeno poterci ridere sopra"

 

Eccomi qui, seduta sul sedile posteriore di una Opel Corsa, superando i 100 km/h in pieno centro cittadino, in cinque in auto, le chiavi dei veicolo in mano a uno spericolato diciottenne, meno di un mese il tempo che ha segnato il suo esperto guidare. L'una di notte, tanta voglia di raggiungere la discoteca - ma se arriviamo troppo tardi tocca pagare la tariffa intera dell'entrata, 20 euro li spendi te, muoviti, muoviti cazzo! C'è voglia di correre correre correre all'impazzata, sfrecciare su questo asfalto caldo di pneumatici (voglio una vita spericolata...), il cd nel lettore spara musica a palla, qua dietro immobili, silenziose, terrorizzate, io e un'amica, le scari­che adrenaliniche scorrono nelle vene, aumento della palpitazione, sguardo vigile sulla strada, sulla gui­da di questo pazzo incosciente (ma chi me l'ha fatto fare di venire in macchina con loro?), fanali di auto che sfrecciano, tra me e la mia amica un altro ragazzo (se non sbaglio poco fa ci aveva preso in giro - ma che fate, vi mettete le cinture? Cristo santo, queste due si mettono le cinture! - ma adesso pare che anche lui dubiti delle sue gratuite provocazioni, la paura inizia a penetrare sotto la pelle, a stringere i fasci muscolari, a irrigidire il corpo)... voglio una vita, che se ne frega, che se ne frega di tutto siiiii.... l'adrenalina sale, c'è vo­glia di discoteca, no che dico, ora però rallenta... - su rallenta, non fare il cretino - la voglia di ballare, amici, figa, ballare, veloci, veloci - non farmi incazzare, se superi questa macchina non so che faccio, non rispondo più di me, rallenta. Cristo! - ... io, io lo so, qua dietro, so a cosa pensano questi tre, vedo i loro visi, percepisco le loro paure nelle loro immobili pose, paralizzate, innaturali, ipocritamente mascherate da una brutale spavalderia, orgoglio "maschio" che puzza di plastica appena stampata. E ora fermatevi, io e la mia amica non ci stiamo, fateci scendere. Caro Galimberti, lei che ne pensa di questi giovani rampolli, proseliti della "vita spericolata"? Simona

 

Ho pubblicato la sua lettera porche rende molto bene il clima del sabato sera di mol­ti ragazzi che, tra alcool, droga, rumore;. velocità, si assentano dalla loro esistenza e talvolta vi pongono semplicemente fine. Perché?

Speranze deluse circa la possibilità di re­perire un senso? Inerzia in ordine a un si­gnificativo investimento su di sé? Sovrab­bondanza e opulenza che hanno agito co­me addormentatori sociali? Indifferenza di fronte alla gerarchia dai valori, noia, spleen senza poesia? Incomunicabilità. non come fatto fisiologico tra generazioni, ma corme presa di posizione? Un vuoto pieno di rinuncia, assordato solo dalla mu­sica a tutto volume?

Probabilmente tutti questi fattori che insie­me scavano un terreno dove prende for­ma quel genere di solitudine che non è la disperazione che attanaglia quanti un giorno hanno sperato, ma una sorta di as­senza dì gravità che si trova a muoversi nel sociale come in uno spazio in disuso. dove non è il caso di lanciare alcun mes­saggio. perché non c'è anima viva che lo raccolga, e dove se si dovesse gridare aiuto. ciò che ritorna sarebbe solo l'eco del proprio grido.

Accade allora che l'indifferenza emotiva si coniuga col fatalismo connesso al concetto di destino ("sono fatto così") e allora que­sti giovani, che già hanno rinunciato a chiedere qualcosa a qualcuno, non chie­dono più nulla nemmeno a se stessi. e si dedicano totalmente al compito di inventa­re nuove regole del gioco laddove, grava la routine. Inscenano in questo modo tutta la loro vita come un esperimento sociale dal­l'esito incerto e vanno su di giri al semplice ed esaltante pensiero che ciascuno nella propria vita va in diretta ventiquattro ore su ventiquattro.

Il loro modo di relazionarsi alla vita preve­de intatti che si agisca come virtuosi del­l'irresponsabilità. senza alcun riguardo per la propria storia personale, senza rispetta­re impegni e senza temere le eventuali conseguenze del proprio agire. dal mo­mento che tutte le scelte sono disponibili e quelle effettuate tutte revocabili. Dalla perdita di identità. che si costruisce solo con la consequenzialità delle nostre azioni e con l’irrevocabilità delle scelte, nasce quel frazionamento psichico dove l'identità vive nel gesto, misurato non sulla scala del bene e del male. di cui non si di­stingue più il confine, ma sulla scala della noia e dell'eccitazione. della ripetizione e della novità.

Nell'esperienza ormai assaporata da que­sti giovani circa la loro non incidenza, neppure minima, nel cambiare le regole di una società tecnologicamente ed economicamente, ma non politicamente o moralmente, ordinata. ognuno va alla ricerca della nicchia adeguata dove poter met­tere in scena la propria disarticolata av­ventura. che appare naturalmente come un'esplorazione delle sconosciute possibi­lità dell'esistenza.

Ma soprattutto questi giovani hanno ormai imparato a rifiutare la comunicazione e a negare l'accesso al proprio cuore. perché preferiscono tenerlo ben nascosto al centro di un labirinto, in cui gli altri possono solo vagare senza alcuna speranza di po­ter recuperare uno straccio di autentica comunicazione.

Ma che ne è di una società che fa a meno dei suoi giovani? E’ solo una faccenda di spreco di energie o il primo sintomo della sua dissoluzione? Forse l'Occidente non sparirà per I'inarrestabilità dei processi mi­gratori o per i gesti disperati dei terroristi, ma per non aver dato senso e identità, e quindi per aver sprecato le proprie giovani generazioni.

28 MAGGIO 2005