VALUTAZIONE (didattica)
Guido Armellini
http://www.cespbo.it/testi/controlessico/valutazione_didattica.htm
"E’
sintatticamente e semanticamente corretto dire che le asserzioni soggettive
sono fatte da soggetti. Allora, in modo corrispondente, potremmo dire che le
asserzioni oggettive sono fatte da oggetti. Disgraziatamente queste dannate
cose non fanno asserzioni." (Heinz von Foerster)"
Tra i progetti di
riforma dei governi di centro-sinistra e di centro-destra ci sono elementi di
continuità e di discontinuità; ma il denominatore comune più tenace è
l’assoluta noncuranza per il carattere mutevole, imprevedibile, avventuroso
delle relazioni che le e gli insegnanti instaurano ogni giorno nelle classi con
le ragazze ed i ragazzi in carne ed ossa. La scuola viene vista come un
“sistema” da far funzionare col massimo di efficacia e di efficienza, un oliato
meccanismo di trasmissione di conoscenze/competenze/capacità e di controllo della
loro acquisizione, e non come una moltitudine di comunità viventi, ciascuna con
la sua storia, le sue abitudini, i suoi conflitti, dove si incontrano esseri
umani diversi per età, sesso, carattere, visioni del mondo, provenienze
geografiche e culturali. La noncuranza per l’esperienza reale di insegnanti e
studenti è particolarmente evidente nei progetti valutativi sfornati dai
pedagogisti ministeriali che informano numerosi aspetti della vita della
scuola: dai progetti nazionali a base di test rivolti a migliaia di studenti a
quelli tesi a misurare la qualità delle istituzioni scolastiche.
La questione della valutazione è divenuta così un campo di riflessione e di
azione importante per i movimenti che in questi ultimi anni hanno praticato e
proposto idee di scuola diverse da quella imposta dall'alto. Schematizzando
terribilmente, si possono individuare quattro fondamentali punti di conflitto.
1) Un presupposto dell'idea dominante di valutazione è che un atto valutativo
sia tanto più attendibile quanto meno reca traccia della soggettività degli
esseri umani che lo hanno prodotto. La mia opinione è specularmente opposta:
una valutazione risulta tanto più seria, utile per l'essere umano valutato,
confrontabile con altre, quanto più l’apporto della soggettività del valutatore
o dei valutatori è consapevole ed esplicito. Come genitore, oltre che come
insegnante, ho potuto constatare che nessun docente è tanto pericoloso per
l’apprendimento, l’autostima e l’igiene mentale suoi studenti quanto quello che
presume che le sue valutazioni siano “oggettive”. Al contrario di quanto si
potrebbe pensare superficialmente, l’oggettività non è una garanzia di
trasparenza e di equità, ma una riproposta inconsapevole e subdola del
dogmatismo, un alibi per chi non vuole assumersi la responsabilità delle sue
scelte.
Questa considerazione vale in misura diversa a seconda del tipo di prestazione
e di comportamento sottoposto a valutazione: quanto più la prestazione
richiesta è banale ed elementare, tanto più si può presumere di poterne
accertare “oggettivamente” la correttezza; quanto più le operazioni valutate
sono complesse, tanto meno "oggettivo" può essere l’apprezzamento. Se
mi viene posta la domanda "Dove è nato Giacomo Leopardi?", la mia
soggettività non è esplicitamente chiamata in causa dalla prestazione
richiesta. Se invece mi si chiede di dare una mia interpretazione
dell'Infinito, la domanda fa apertamente appello al mio apporto soggettivo, e
dunque comporta un coinvolgimento soggettivo altrettanto forte da parte di chi
dovrà valutare la mia risposta. Conclusione: se vogliamo essere massimamente
“oggettivi”, dobbiamo limitarci a verificare il possesso mnemonico di nozioni,
o la capacità di svolgere mansioni meramente addestrative; se invece vogliamo
vagliare la capacità di far uso di processi di analisi, sintesi, critica,
invenzione, dobbiamo rinunciare apertamente a ogni presunzione di oggettività.
Questo non significa naturalmente che, nel valutare, ogni insegnante debba
affidarsi all’arbitrarietà delle sue idiosincrasie e impressioni personali.
Semplicemente, l’esplicitazione, la discussione, la condivisione dei risultati
si appoggeranno a criteri aperti e sempre rinegoziabili, costruiti
cooperativamente a partire dall’esperienza, per i quali vale, più che
l’oggettività della dimostrazione, l’intersoggettività dell’argomentazione.
2) Un secondo presupposto della valutazione ufficiale è che per rendere
"scientifica" un'operazione valutativa, occorra scomporla in unità
discrete: valutando separatamente le singole abilità o competenze si
raggiungerebbe un risultato più attendibile che in una valutazione olistica, e
la somma aritmetica dei singoli punteggi così ottenuti porterebbe a un esito
complessivo caratterizzato dal massimo di oggettività. L'esperienza insegna
invece che nella valutazione scolastica il tutto non è equiparabile alla somma
delle parti: gli esiti risultanti dall'utilizzo di "griglie"
valutative basate su somme di punteggi non sono di per sé più attendibili di
quelli risultanti da un approccio globale, che valorizza l'unitarietà degli
esseri umani coinvolti nella relazione valutativa; spesso anzi avviene che il
procedimento della somma aritmetica produca un effetto di distorsione e di
disturbo, aggravato dalla presunzione di oggettività. Mi sembra dunque che
sarebbe assai più realistico e onesto affidare esplicitamente alla
responsabilità intersoggettiva delle e degli insegnanti l’onere di una
valutazione globale. Questo non impedisce di utilizzare prove cosiddette
"oggettive", o "strutturate" o "semistrutturate".
L’importante è non confondere la misurazione con la valutazione. La situazione
dell’insegnante che valuta uno studente è simile a quella del medico che deve
definire le condizioni di salute di un suo paziente: l’apporto dei dati
risultanti dagli esami di laboratorio può essere un punto di riferimento
fondamentale, ma la diagnosi consisterà in una interpretazione dei dati,
strettamente legata al dialogo instaurato col paziente, non nella loro
combinazione matematica.
3) Un terzo presupposto è costituito dal binomio obiettivi/prerequisiti, su cui
si dovrebbero fondare l’efficacia della programmazione didattica e il successo
del processo di insegnamento-apprendimento. Si suppone che ogni discente, per
raggiungere un certo obiettivo O, debba necessariamente passare attraverso un
ben definito prerequisito P; e che il docente, avendo raggiunto sul rettilineo
della conoscenza un traguardo di gran lunga più avanzato dei suoi alunni, possa
diagnosticare con la massima oggettività e precisione la situazione di partenza
di ciascuno, per condurlo passo passo dal punto P al punto O, che a sua volta
fungerà da prerequisito per la conquista di un nuovo obiettivo. Il modello è
rassicurante, ma astratto. L’esperienza ci dice infatti che le giovani
generazioni organizzano il loro modo di impadronirsi della realtà in base a
percorsi, criteri di valore, orizzonti di senso, strategie cognitive molto
diversi da quelli seguiti dalle generazioni adulte. L’incontro fra insegnanti è
studenti non è semplicemente un incontro fra livelli di conoscenza, ma tra
esseri umani caratterizzati da orizzonti culturali differenti, che devono prima
di tutto cercare un contesto comunicativo condiviso, attraverso la costruzione
di presupposti comuni. Se le cose stanno così, l’insegnante più che un
trasmettitore di conoscenze/competenze/capacità, dovrà essere un “esploratore
di mondi possibili” (M. Sclavi), capace di affacciarsi sull’alienità degli
orizzonti dei suoi “barbari” interlocutori, per costruire insieme a loro un
modello di mondo che nasca dall’incontro fra il sapere canonico e la nuova
domanda di senso che essi esprimono. In questo quadro la valutazione non si
pone come semplice accertamento del raggiungimento o meno di traguardi
predeterminati, ma come processo bidirezionale, dialogico, in gran parte orale
ed informale, aperto all’imprevisto e al teach-back proveniente dalle e dagli
studenti.
4) Quarto punto di conflitto. Negli ultimi anni la consapevolezza della
complessità dei processi di apprendimento, anziché suggerire un salutare atteggiamento
di umiltà, ha dato il via a uno smodato ampliamento della presunzione del
controllo: oltre a misurare "oggettivamente" le prestazioni relative
alla sfera cognitiva, si è pensato che fosse possibile e necessario tenere
implacabilmente sotto tiro tutte le (infinite?) variabili coinvolte. Così la
complessità qualitativa della valutazione è stata affrontata attraverso uno
smisurato aumento quantitativo degli indicatori da sottoporre a verifica. Di
qui il mostruoso ingigantimento della documentazione e della certificazione, e
l'atteggiamento addirittura persecutorio nei confronti delle ragazze e dei
ragazzi, di cui si presume di poter catalogare precocemente i limiti, le
propensioni, le attitudini, gli atteggiamenti etici e psicologici.
Indipendentemente dalle eventuali buone intenzioni, una scuola animata dalla
presunzione di poter misurare e certificare “tutto”, finisce per usare la
valutazione come un’arma puntata contro la privacy, la responsabilizzazione e
l’autostima di chi la frequenta; senza considerare gli esiti nefasti prodotti
inevitabilmente dall'"effetto Pigmalione".
Tra i requisiti fondamentali di una valutazione sensata occorrerebbe
annoverare, oltre alla consapevolezza della soggettività di ogni atto
valutativo, un forte senso del limite del nostro sapere. Penso che, prima di
esprimere un giudizio riguardante un altro essere umano, dovremmo sempre
ripetere a noi stessi l'aurea massima di Irwing Thompson: "Ciò che
veramente conta non può essere contato".