A passo di gambero è il titolo
del nuovo libro di
Umberto Eco
Se la storia va all'indietro
L'antisemitismo torna trionfante, i calciatori fanno il
saluto
romano, le guerre di religione: è il mondo alla rovescia
di UMBERTO ECO
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Anticipiamo la prefazione di Umberto
Eco al suo nuovo libro in uscita da Bompiani (pagg.
364, euro 17,50). Il titolo è "A passo di gambero - Guerre calde e
populismo mediatico".
Questo libro raccoglie una serie di articoli
e interventi scritti tra il 2000 e il 2005. Il periodo è fatidico, si apre con
le ansie per il nuovo millennio, esordisce con l'11
settembre, seguito dalle due guerre in Afghanistan e in Iraq, e in Italia vede
l'ascesa al potere di Silvio Berlusconi.
Pertanto, lasciando cadere tanti altri contributi su svariati
argomenti, ho voluto raccogliere solo gli scritti che si riferivano agli eventi
politici e mediatici di questi sei anni. Il criterio di selezione mi è stato
suggerito da uno degli ultimi pezzi della mia precedente raccolta di articoli (La bustina di Minerva), che s'intitolava Il
trionfo della tecnologia leggera.
Sotto forma di falsa recensione di un libro attribuito a tale Crabe Backwards, osservavo che
negli ultimi tempi si erano verificati degli sviluppi tecnologici che
rappresentavano dei veri e propri passi all'indietro. Osservavo che la
comunicazione pesante era entrata in crisi verso la fine degli anni settanta.
Sino ad allora lo strumento principe della
comunicazione era il televisore a colori, una scatola enorme che troneggiava in
modo ingombrante, emetteva nel buio bagliori sinistri e suoni capaci di
disturbare il vicinato.
Un primo passo verso la comunicazione leggera era stato fatto
con l'invenzione del telecomando: con esso non solo lo
spettatore poteva abbassare o addirittura azzerare l'audio ma anche eliminare i
colori e lavorare di zapping.
Saltellando tra decine e decine di
dibattiti, di fronte a uno schermo in bianco e nero senz'audio, lo spettatore
era già entrato in una fase di libertà creativa, detta "fase di
Blob". Inoltre la vecchia tv, trasmettendo avvenimenti in diretta, ci
rendeva dipendenti dalla linearità stessa dell'evento. La liberazione dalla
diretta si è avuta col videoregistratore, con cui non solo si è realizzata
l'evoluzione dalla Televisione al Cinematografo, ma lo spettatore è stato in
grado di mandare le cassette all'indietro, sfuggendo così del tutto al rapporto
passivo e repressivo con la vicenda raccontata.
A questo punto si sarebbe potuto persino eliminare
completamente l'audio e commentare la successione scoordinata delle immagini
con colonne musicali di pianola, sintetizzata al computer; e - visto che le
stesse emittenti, col pretesto di venire in aiuto ai non udenti, avevano preso
l'abitudine di inserire didascalie scritte a commento dell'azione - si sarebbe
pervenuti ben presto a programmi in cui, mentre due si baciano in silenzio, si
sarebbe visto un riquadro con la scritta "Ti amo". In tal modo la
tecnologia leggera avrebbe inventato il film muto dei Lumière.
Ma il passo
successivo era stato raggiunto con l'eliminazione del movimento dalle immagini.
Con Internet il fruitore poteva ricevere, con
risparmio neurale, solo immagini immobili a bassa definizione, sovente
monocolori, e senza alcun bisogno del suono, dato che le informazioni
apparivano in caratteri alfabetici sullo schermo.
Uno stadio ulteriore di questo
ritorno trionfale alla Galassia Gutenberg sarebbe
stato - dicevo allora - l'eliminazione radicale dell'immagine. Si sarebbe
inventata una sorta di scatola, pochissimo ingombrante, che emetteva solo
suoni, e che non richiedeva neppure il telecomando, dato che si sarebbe potuto
eseguire lo zapping direttamente ruotando una
manopola. Pensavo di aver inventato la radio e invece stavo vaticinando
l'avvento dell'I-Pod.
Rilevavo infine che l'ultimo stadio era già stato raggiunto quando alle trasmissioni via etere, con tutti i
disturbi fisici che ne conseguivano, con le pay-tv e con Internet si era dato
inizio alla nuova era della trasmissione via filo telefonico, passando dalla
telegrafia senza fili alla telefonia con i fili, superando Marconi
e tornando a Meucci.
Scherzose o meno che fossero, queste osservazioni non erano del tutto azzardate. D'altra parte che si stesse
procedendo a ritroso era già parso chiaro dopo la caduta del muro di Berlino,
quando la geografia politica dell'Europa e dell'Asia era radicalmente cambiata.
Gli editori d'atlanti avevano dovuto mandare al macero tutte
le loro scorte (rese obsolete dalla presenza di Unione Sovietica, Jugoslavia,
Germania Est e altre mostruosità del genere) e avevano dovuto ispirarsi agli
atlanti pubblicati prima del 1914, con la loro Serbia, il loro Montenegro, i
loro stati baltici e così via.
Ma la storia dei passi all'indietro non si arresta qui, e questo inizio del terzo millennio è stato prodigo di passi
del gambero. Tanto per fare qualche esempio, dopo il cinquantennio di Guerra
Fredda, abbiamo avuto con l'Afghanistan e l'Iraq il
ritorno trionfale della guerra guerreggiata o guerra calda, addirittura
riesumando i memorabili attacchi degli "astuti afghani"
ottocenteschi al Kyber Pass, una nuova stagione delle
Crociate con lo scontro tra Islam e cristianità, compresi gli Assassini suicidi
del Veglio della Montagna, tornando ai fasti di Lepanto (e alcuni fortunati
libelli degli ultimi anni potrebbero essere riassunti col grido di "mamma
li turchi!").
Sono riapparsi i fondamentalismi
cristiani che sembravano appartenere alla cronaca del
XIX secolo, con la ripresa della polemica antidarwiniana,
ed è risorto (sia pure in forma demografica ed economica) il fantasma del
Pericolo Giallo. Da tempo le nostre famiglie ospitano di
nuovo servi di colore, come nel Sud di Via col vento, sono riprese le
grandi migrazioni di popoli barbari, come nei primi secoli dopo Cristo, e (come
osserva uno dei pezzi qui pubblicati) rivivono almeno nel nostro paese riti e
costumi da Basso Impero.
È tornato trionfante l'antisemitismo con i suoi Protocolli, e
abbiamo i fascisti (per quanto molto post, ma alcuni sono ancora gli stessi) al
governo. D'altra parte, mentre correggo le bozze, un atleta allo stadio ha
salutato romanamente la folla plaudente. Esattamente ciò che
facevo io quasi settant'anni fa da balilla - salvo
che io ero obbligato. Per non dire della Devoluzione, che ci riporta a un'Italia pre-garibaldina.
Si è riaperto il contenzioso post-cavouriano
tra Chiesa e Stato e, per registrare anche ritorni quasi a giro di posta, sta
tornando, in varie forme,
Molti altri fenomeni di passo retrogrado emergeranno dagli
articoli di questo libro, abbastanza insomma per
giustificarne il titolo. Ma indubbiamente qualcosa di
nuovo, almeno nel nostro paese, è avvenuto - qualcosa che non era ancora
avvenuto prima: l'instaurazione di una forma di governo basata sull'appello
populistico via media, perpetrato da un'impresa privata intesa al proprio
privato interesse - esperimento certamente nuovo, almeno sulla scena europea, e
molto più avveduto e tecnologicamente agguerrito dei populismi del Terzo Mondo.
A questo tema sono dedicati molti di questi
scritti, nati dalla preoccupazione e dall'indignazione di questo Nuovo che
Avanza e che (almeno mentre mando in stampa queste righe) non è ancora detto si
possa arrestare.
La seconda sezione del libro si intitola
al fenomeno del regime di populismo mediatico, e non
ho alcuna esitazione a parlare di "regime", almeno nel senso in cui i
medievali (che non erano comunisti) parlavano de regimine
principum.
A questo proposito, e di proposito, apro la seconda sezione
con un appello che avevo scritto prima delle elezioni
del 2001 e che è stato molto vituperato. Già allora un corsivista di destra,
che evidentemente mi vuole però qualche bene, si
stupiva addolorato che un uomo "buono" come me potesse trattare con
tanto disprezzo una metà dei cittadini italiani che non votavano come lui. E
ancora recentemente, e non da destra, è stata rivolta a questo genere d'impegno
l'accusa di arroganza - rovinosa attitudine che
renderebbe antipatica gran parte della cultura di opposizione.
Ho sofferto molte volte nel vedermi accusato di voler riuscire
simpatico a tutti i costi, così che lo scoprirmi antipatico mi riempie
d'orgoglio e di virtuosa soddisfazione.
Ma curiosa è questa accusa, come se
ai loro tempi si fosse imputato (si parva licet componere magnis) ai Rosselli, ai Gobetti, ai Salvemini, ai Gramsci, per non
dire dei Matteotti, di non essere abbastanza comprensivi e rispettosi nei
confronti del loro avversario.
Se qualcuno si batte per una scelta politica (e nel caso in
questione, civile e morale), fatto salvo il diritto-dovere di
essere pronti a ricredersi un giorno, in quel momento deve ritenere di
essere nel giusto e denunciare energicamente l'errore di coloro che tendono a
comportarsi diversamente. Non vedo dibattito elettorale che possa
svolgersi all'insegna dell'"avete ragione voi, ma votate per chi ha
torto". E nel dibattito elettorale le critiche all'avversario
devono essere severe, spietate, per potere convincere almeno l'incerto.
Inoltre molte delle critiche giudicate antipatiche sono
critiche di costume. E il critico di costume (che
sovente nel vizio altrui fustiga anche il proprio, o le proprie tentazioni)
deve essere sferzante. Ovvero, e sempre per rifarsi ai
grandi esempi, se vuoi essere critico di costume, ti devi comportare come
Orazio; se ti comporti come Virgilio, allora scrivi un poema, magari
bellissimo, in lode del Divo regnante. Ma i tempi sono
oscuri, i costumi corrotti, e anche il diritto alla critica viene, quando non
soffocato con provvedimenti di censura, indicato al furor popolare.
Pubblico pertanto questi scritti all'insegna di quella antipatia positiva che rivendico.